Denis Mukwege, il dottore che ripara le donne

E’ nato a Bukavu nel 1955, terzo di nove figli, Mukwege ha studiato medicina in Burundi, ha servito inizialmente presso l’ospedale locale per poi trasferirsi in Francia e specializzarsi in ginecologia presso l’Università di Angers. Non appena rientrato ha aperto una clinica ginecologia e ostetrica a Bukavu nel sud Kivu da cui ha preso vita il Panzi Hospital.
In quegli anni il conflitto del Congo per il controllo delle sue immense ricchezze, si intensifica. Le atrocità si susseguono e gli stupri come arma di guerra sono all’ordine del giorno. Donne di ogni età, dalle bambine di pochi anni alle più anziane, vengono violate sistematicamente. E l’Ospedale di Panzi diventa il loro unico rifugio per essere curate fisicamente e mentalmente.
La clinica ha accolto e accoglie tuttora queste donne, le aiutate e nel tempo ha sviluppato una competenza specifica nel trattamento dello stupro di guerra, che comprende sostegno sanitario, psicologico, ma anche legale ed economico. Le donne assistite fino ad oggi sono oltre 50.000. Donne che la guerra ha offeso nel modo più barbaro e che, come ha raccontato lo stesso Dott. Mukwege, hanno ritrovato la forza di lavorare, di cantare e addirittura di ringraziare Dio.
Premio Nobel per la Pace del 2018, è presidente della Panzi Foundation ed è stato anche insignito del SakharovPrize nel 2014, riconoscimento istituito dal Parlamento europeo nel 1988 allo scopo di premiare personalità od organizzazioni che abbiano dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali.

Attentati e minacce

Anche a costo di minacce alla sua vita egli ha continuamente e ripetutamente condannato l’impunità per lo stupro di massa e ha criticato il governo congolese e di altri paesi per non aver fatto abbastanza per fermare l’uso della violenza sessuale contro le donne come strategia e arma di guerra.
Nel settembre del 2012, in un discorso alle Nazioni Unite, denunciò platealmente l’impunità per gli stupri di massa compiuti nel suo Paese e criticò il governo congolese così come quelli di altri Paesi per non fare abbastanza contro quella piaga. Il 25 ottobre dello stesso anno, quattro uomini armati penetrarono in casa sua cercando di assassinarlo, egli riuscì a fuggire e trovare esilio in Europa. Ma, mosso dal coraggio delle donne che aveva curato in passato e che ancora avevano bisogno del suo aiuto, tornò in patria pochi mesi dopo e da allora non si è mai fermato nel suo lavoro di aiuto e di urlo di quanto avviene in questo paese dice:

“È una battaglia necessaria, gli stupri non distruggono solo le donne e il loro corpo ma l’intera società. Dopo essere state violentate le vittime vengono considerate colpevoli dai mariti e vengono per questo allontanate e isolate. Ci sono alcune donne che contraggono l’HIV, che è una malattia che provoca una stigmatizzazione dell’ammalato, e altre che soffrono di perdite e incontinenza e quindi vengono derise e umiliate dalla comunità. È una tragedia che va fermata, occorre intervenire su moltissimi fronti, anche con un profondo lavoro di sensibilizzazione nei villaggi e nelle città, per far si che le comunità non considerino più queste donne colpevoli della tragedia che è loro toccata”.

Anche lo scorso mese di agosto, il dottore è stato vittima di nuove minacce di morte ed intimidazioni, come denunciato dalla responsabile dei diritti umani della Nazioni Unite, Michelle Bachelet.